L’Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli – ritiene fondate le argomentazioni difensive ed accoglie il ricorso presentato nell’interesse del cliente. Sarà la banca a dover restituire le somme sottratte. 

 

Una vicenda a lieto fine per un cliente della Provincia di Cosenza che si era visto addebitare sul conto corrente l’importo di €.2.649,72, senza tuttavia aver effettuato alcun acquisto con la propria carta di credito.

Infatti, quando lo stesso si è accorto di non essere più in possesso del proprio portafogli, contenente tra i vari documenti anche la carta di credito, era già troppo tardi. Gli ignoti malfattori avevano già effettuato n. 12 acquisti presso diversi esercizi commerciali, con una spesa totale pari ad €.2.649,72.

Allarmato per l’accaduto, il cliente inoltrava alla banca il formale disconoscimento delle operazioni ed il rimborso dei relativi addebiti, allegando la denuncia orale presentata alla locale stazione dei carabinieri. La Banca, tuttavia, respingeva il reclamo sostenendo che la segnalazione del furto e dunque il blocco sarebbero avvenutai “in ritardo rispetto al furto/smarrimento della carta”.

Il cliente, in preda al panico, si rivolgeva all’Avv. Luca Barone chiedendo la tutela dei propri diritti. Dopo un approfondito esame della documentazione, si è deciso di portare il caso innanzi all’ABF.

 

Le motivazioni a sostegno del ricorso. 

Tutta la linea difensiva è stata incentrata sulle peculiari modalità di utilizzo dello strumento di pagamento.

In effetti, la carta di credito  tuttora in uso alla ricorrente richiede, per il suo utilizzo presso gli esercenti,  la sottoscrizione, da parte del titolare della carta, delle “memorie di spesa” o “c.d. memorandum” e non la digitazione di un codice PIN.

In altri termini, la mera presentazione della carta di credito non è di per sé idonea ad identificare l’avente diritto alla prestazione, in quanto soltanto mediante la comparazione della firma apposta dietro la carta con la sottoscrizione apposta sul memorandum di spesa è possibile per l’esercente affiliato identificare il titolare della prestazione.

Ebbene, alla luce di quanto sopra, nel ricorso è stato sostenuto che, “in ogni caso, essendo stati i memorandum vergati con sottoscrizione non assolutamente riconducibile alla ricorrente, i relativi pagamenti non sono opponibili alla stessa”.

 

La decisione dell’ABF.

Il collegio inanzitutto richiama il disposto dell’art. 10, d.lgs. 11/2010, secondo cui: “1. Qualora l’utilizzatore di servizi di pagamento [cliente] neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento [banca] provare che l’operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti. 2. Quando l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all’articolo 7”.

Dunque, così ripartito l’onere della prova, nel caso di specie l’ABF rileva come il ricorrente abbia effettuato il disconoscimento delle operazioni. Dall’altra parte la banca convenuta non ha depositato i memoriandum di spesa, “con conseguente fondatezza dell’istanza restitutoria, che dunque merita di essere accolta per quanto attiene alla restituzione delle somme fraudolentemente sottratte, detratta la franchigia di euro 150,00 prevista dall’art. 12, 3° comma, d.lgs. 11/2010″.

Pertanto, il Collegio ha dichiarato la Banca tenuta a restitutire al cliente  l’importo di €.2.499,72, oltre interessi legali dalla data del reclamo.

 

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